Antonello Manacorda dirige l’Orchestra dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia e il Vocalconsort Berlin. Raffaele Pe nel ruolo del titolo
In attesa della conferenza stampa ufficiale, il Festival dei Due Mondi svela uno degli appuntamenti più attesi della sua programmazione. L’edizione 67, in programma dal 28 giugno al 14 luglio 2024, porta a Spoleto l’opera Orfeo ed Euridice di Christoph Willibald Gluck, su libretto in italiano di Ranieri de’ Calzabigi, titolo tra i più amati e rappresentati nella personale rilettura del regista Damiano Michieletto. La nuova produzione, realizzata in collaborazione con la Komische Oper di Berlino dove è andata in scena nel gennaio 2022, è in programma per la sessantasettesima edizione del Festival al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti (5 e 6 luglio 2024), con le scene di Paolo Fantin, i costumi di Klaus Bruns e la drammaturgia di Simon Berger. L’esecuzione musicale è affidata all’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e al Coro Vocalconsort Berlin, guidati da Antonello Manacorda e affiancati da un cast di livello internazionale. Raffaele Pe interpreta Orfeo, Nadja Mchantaf è in scena nel ruolo di Euridice, Josefine Mindus in quello di Amore.
Si aggiungono le danzatrici Alessandra Bizzarri, Ana Dordevic e Claudia Greco, guidate dal coreografo Thomas Wilhelm. David Cavelius è direttore del coro. Le luci sono di Alessandro Carletti.
Quella di Orfeo ed Euridice è tra le vicende che più intensamente evocano il legame tra mondo dei vivi e mondo dei morti, e affonda le sue radici in miti antichissimi, preclassici. Non a caso è stata tra i soggetti scelti per l’opera lirica proprio ai suoi albori, con le versioni di Jacopo Peri, Giulio Caccini e nel 1607 con il capolavoro di Claudio Monteverdi. Fino al XX secolo, la figura del cantore Orfeo è apparsa sul palcoscenico in quasi cento ambientazioni, operette, balletti, cantate, poemi sinfonici e colonne sonore.
Forse l’incanto di questo mito sta nella tensione degli amanti, nella scelta tra guardarsi un’ultima volta e salvarsi.
Secondo Damiano Michieletto il mito è fatto della realtà degli uomini. Orfeo ed Euridice sono prima di tutto una coppia in crisi, sono diventati due estranei l’uno per l’altra. L’amore è scomparso. Una disgrazia colpisce Euridice e strappa Orfeo alla sua vita quotidiana. Lui piange e vaga per il mondo. Che cosa ha perso? Amore gli appare e gli offre una soluzione: può riportare in vita Euridice, a condizione di non guardarla per tutta la via del ritorno. Per il regista, «il trionfo dell’amore alla fine deriva dall’esperienza della finitezza della vita. Questo pensiero è difficile da sopportare. La storia mitologica di Orfeo che salva Euridice non riguarda la realtà di un uomo che salva una donna dagli Inferi. […] Il senso del viaggio di cui parlano numerosi miti è, a mio avviso, il tentativo di mostrare, con mezzi artistici, un’esperienza di vita veramente significativa. Si tratta della possibilità di cambiare, di incontrarsi di nuovo, di amare di nuovo e forse anche in modo diverso». A differenza del mito, Michieletto sceglie di mostrare la coppia in scena fin dall’inizio. Il viaggio di Orfeo agli Inferi è metaforico, è un percorso lungo il quale ritrova sé stesso.
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