Dall’infortunio al record: tutta la tenacia di Michele Cuozzo alla Milano Marathon

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  • Testata_Due_Mondi_news(DMN) Spoleto – ci sono storie che meritano di essere raccontate. Non c’è bisogno di essere supereroi per meritarsi un posto nel giornale. La storia che vogliamo raccontarvi parla di tenacia, di determinazione e di grande voglia di raggiungere i propri obiettivi. Il protagonista è il runner spoletino Michele Cuozzo del gruppo “Corri a Spoleto”, tesserato con la società a respiro nazionale “Valore Salute, Forti e Veloci”.

    Quella di domenica 8 aprile 2018, è stata la mia 11^ maratona. – ha scritto Cuozzo nel gruppo Facebook di Corri a Spoleto – Ogni gara è unica e capace di darti delle sensazioni incredibili, ma questa Milano Marathon, nella sua unicità, ha per me anche un qualcosa di speciale. La sua preparazione è stata infatti interrotta a 3 settimane dallo start per un infortunio dovuto, probabilmente, ad un sovraccarico di km. Si dice sempre che “fa parte del gioco”. Niente di più vero, ma quando poi ti capita, lo sconforto è grande, soprattutto quando è un periodo che stai bene e cominciano ad arrivare finalmente quei risultati che ripagano dei tanti sacrifici, dei tanti “ma chi me lo fa fare a tribolare così”. Avevo appena ottenuto il mio personale nella mezza e tutto procedeva bene, fino al mercoledì prima dell’ultimo “lunghissimo”. Durante l’allenamento in programma quel giorno, il piccolo dolore, localizzato alla caviglia destra, è improvvisamente aumentato tanto da costringermi a fermarmi. Diagnosi: infiammazione del periosteo tibiale. Impossibile correre ancora. Stop di 10 giorni. Finché non ne ho avuto abbastanza e ho deciso che non avrei mollato. Torno ad allenarmi, nonostante tutto. Almeno ci provo, mi sono detto. Non potrò fare i lunghi della domenica e tanto meno la velocità, ma quantomeno non resto fermo! Altrimenti addio gara davvero. E a questa prospettiva non volevo proprio rassegnarmi. Ogni passo una fitta. Se riposavo uno o due giorni stavo un po’ meglio, ma appena tornavo a calcare l’asfalto, eccolo di nuovo lì a frenarmi. Come se non bastasse, in quei giorni pioggia e vento non sono mancati e nella testa, ogni volta che ero là fuori, riecheggiava il solito martellante pensiero: basta, non ha senso, fermati e pensa ad una prossima gara o, ancora meglio, rinuncia proprio alle maratone, in fondo sei più portato per le altre distanze! Ma il cuore non era d’accordo: ti sei allenato duramente per questa gara fin da gennaio, i km li hai fatti, la velocità c’è…ce la puoi fare, tieni duro! E così, un giorno correvo e due/tre riposavo.

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    Nella testa solo confusione. Andare o no, almeno provarci o lasciar perdere? Fino a due giorni prima della data cerchiata di rosso sul calendario, quando qualcosa mi ha spinto a decidere: si va! In fondo cosa ho da perdere? E domenica mattina, puntuale allo start, deciso a non arrendermi, inizio a correre. Guardo avanti, il ritmo iniziale è volutamente basso ma regolare. Arriva alla mezza, mi dico. Non devo forzare, potrei non avere abbastanza autonomia e il dolore potrebbe tornare a mordere e costringermi al ritiro. Non deve succedere! Km dopo km ecco il 21°. Sto bene, le gambe girano, la caviglia “tiene”. La testa suggerisce: continua così almeno fino al 25°, poi si vedrà. Il cuore come al solito, non è d’accordo: stai bene, provaci! Aumenta ora o il tempo che stai lasciando non lo recuperi più! Ancora una volta, dò retta a lui. Accelero. Prima con un po’ di timore, poi con sempre maggiore confidenza, aumento la spinta. Già lo so, questo farà risvegliare la sopíta infiammazione. Ma la sensazione è ottima. Il nuovo ritmo è sostenibile. Supero, uno dietro l’altro i ragazzi che fino a quel momento erano stati con me. Loro si sono allenati per avere quella velocità. È giusto così, se il tuo obiettivo è arrivare al traguardo in un certo tempo, devi avere lo stesso passo dall’inizio alla fine. Io un po’ di margine però ce l’ho. Mi sono risparmiato fin qui, ma era necessario, date le circostanze. Ora è il momento di provarci! Continuo fino al 28°, quando, puntuale, arriva la fitta alla caviglia! Ok, era previsto, mi ripeto. Rallento un po’ e cerco di non pensare troppo. Mi concentro su quello che devo fare: tra due km è il momento di alimentarmi di nuovo. 2-300 metri prima del punto di ristoro, dove ci sarà l’acqua, prenderò l’integratore alle maltodestrine e, per agevolarne l’assunzione, potrò bere, cosa che mi permetterà anche di idratarmi adeguatamente, condizione essenziale in ogni impegno fisico, più che mai in una competizione sportiva di durata come la maratona! Certo, programmare ogni singola azione da compiere, non è sufficiente a contenere il crescente dolore. Ma sono deciso ad andarci sopra, ad ogni costo. I polmoni hanno ossigeno, le gambe lo ricevono e continuano ad andare. Non c’è alcun motivo perché qualcos’altro possa interporsi tra me ed il traguardo. L’adrenalina mi aiuta a spingere sempre di più, a sopportare il fastidio che nel frattempo dalla caviglia si estende in alto sulla tibia e giù fin sul dorso del piede. I km si susseguono però ed ecco il 35°, ancora un integratore e poi via, penso già al 40°. Si sa, la maratona si corre con le gambe per i primi 30, con la testa per i successivi 10, con il cuore fino al 42 e con le lacrime, di felicità, per i restanti 195 metri! Ormai è trance agonistica, sento energie che mai avrei pensato di poter avere dopo 3 ore di corsa! Al 39° c’è una leggera salita ma la supero come fosse in piano. Il cartello del 40°, è fatta! Non accuso stanchezza, anzi è tanta la gioia di essere lì con quella velocità che anche il dolore svanisce. Già vedo il traguardo anche se tra me e lui c’è ancora una salita e poi, dopo averla superata con un’incredibile facilità, l’ultima curva a destra in discesa verso il rettilineo finale. Altra forza che ormai viene da dentro come si potesse autorigenerare. Tre ragazzi davanti, li raggiungo e li supero uno ad uno, sento quasi di alleggerirmi, la falcata si allunga ancora, il ginocchio alto, sono a meno di 100 metri, 50, 20, alzo le braccia e le allargo a mo’ di ali, taglio il traguardo, fermo il cronometro…3h13’19”! Non ci credo, è anche il mio personale! Sono felice, quasi non sento la stanchezza. Una ragazza, in realtà sono almeno sei o sette e sono lì per tutti i “finisher”, prende una medaglia, tra le tante che ha sul suo braccio, e con un sorriso la alza sulla mia testa per porla intorno al mio collo, congratulazioni dice. Rispondo grazie e penso che sì, sono proprio meritate! Il pensiero va a tutti quei momenti difficili, alla stanchezza provata, ma soprattutto a quella determinazione, che spesso dubito anche di possedere, con la quale li ho potuti superare e che ti permette, dopo tanto sacrificio, di poter godere di questa incredibile sensazione. Un misto di benessere, soddisfazione e leggerezza. Presto svanirà, in fondo è solo una gara. Non è certo un atto eroico o chissà quale particolare prova di capacità. Ma in quegli attimi fa piacere rendersi conto che se vuoi davvero qualcosa, se combatti contro le difficoltà e tieni duro, puoi farcela. Lo sport, dopotutto è anche una scuola di vita, ti insegna che quello che vuoi te lo devi meritare, devi darti da fare per farlo tuo, devi saperti adattare alle situazioni più diverse, in particolare quelle più ardue e meno desiderabili. Per quanto proverai a far andare tutto liscio, qualche intoppo si presenterà, ti farà cadere ma devi sempre trovare la forza di rialzarti e andare avanti. L’appagamento per essere riuscito a farlo, raggiungendo l’agognato risultato, sarà fantastico, ripagandoti di tutto. La corsa, come tutti gli sport in generale, si dice sempre non regali nulla, puoi star certo però che non ruba neppure! Quello che ti meriti, te lo riconosce! Domenica l’ho potuto provare come mai finora, per questo motivo è stata una maratona delle mie undici, certamente unica come ognuna delle altre, ma incredibilmente speciale per il modo in cui l’ho vissuta!”

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