Con una conferenza al Museo archeologico nazionale e Teatro romano di Spoleto dell’archeologo Enrico Benelli su “Monumenti di pietra con lettere misteriose. La scrittura nell’Italia centrale in epoca arcaica” si è concluso il ciclo, molto seguito e apprezzato, “Raccontando la storia”, curato dalla direttrice Maria Angela Turchetti (foto).
Titolare per l’istituto di studi sul Mediterraneo antico (Isma) di progetti di ricerca inerenti l’epigrafia etrusca e italica, Benelli da lungo tempo è dedito ad esaminare i popoli centro-italici, nella loro fase orientalizzante e arcaica, incentrando, in particolare, la propria attenzione su una fascia geografica comprendente Sabina, Umbria, Marche, Abruzzo, fino a parte della Calabria. Nella sua conferenza, Benelli è partito dalle prime iscrizioni ritrovate attribuibili ai popoli italici, come quella contenuta in un elmo in bronzo e corallo rinvenuto a Canosa di Puglia e datato intono al 330 a.C., per giungere, attraverso reperti come il piceno guerriero di Capestrano del VI secolo a.C, al biconico di Uppsala, tra la metà e la fine del VII secolo a.C. I primi popoli dell’Italia centrale parlavano linguaggi di origine indoeuropea come il falisco, il venetico, l’osco, l’umbro, i dialetti sabellici. Lo studio di queste lingue è relativamente giovane e denota la differenza tra la scrittura epigrafica degli italici e quella degli Etruschi. Le iscrizioni incise sopra le tombe esaltavano le doti del defunto (come nel caso del guerriero di Capestrano) e alludevano a cerimoniali, con specifici riferimenti alla comunità, al corpo civico.
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