Giubileo, aperta la Porta Santa nel Carcere di Spoleto

  • Letto 432
  • Sabato 4 gennaio 2025 l’Arcivescovo ha presieduto la Messa per l’avvio dell’Anno giubilare nel Carcere di Spoleto. Con mons. Boccardo hanno concelebrato: padre Marco Antonio Uras, ofm, cappellano della Casa di reclusione; don Sem Fioretti, vicario generale; don Vito Stramaccia e don Edoardo Rossi, vicari episcopali; padre Roberto Cecconi, cp, rettore del Santuario della Madonna della Stella in Montefalco; don Luca Gentili, cancelliere arcivescovile; altri francescani del Convento di S. Fortunato a Montefalco.

    Erano presenti, naturalmente, tanti detenuti, così come c’erano i vertici della Casa di reclusione: la direttrice Bernardina Di Mario e il comandante della Polizia Penitenziaria Luca Bontempo. Hanno preso parte alla cerimonia anche i magistrati di sorveglianza Grazia Manganaro e Nicla Flavia Restivo. Le istituzioni civili erano rappresentate dal senatore Walter Verini e dal vice sindaco di Spoleto Danilo Chiodetti. La liturgia è stata animata dal coro “Ad Cantus Ensamble Vocale” di Foligno, diretto da Francesco Corrias. La Messa ha avuto inizio lungo il corridoio che conduce alla chiesa interna del Carcere, dove i detenuti hanno realizzato una “Porta Santa” simbolica: sulle ante ci sono delle formelle che ripresentano le immagini della Via Crucis; la base dorata sono le coperte termiche dei migranti che hanno attraversato il Mediterraneo per trovare libertà e dignità. I detenuti, nel realizzare il manufatto, sono stati coadiuvati dai docenti Giorgio Flamini, Maria Paola Buono e Roberta Visconti del percorso di secondo livello artistico dell’I.I.S. Sansi-Leonardi-Volta di Spoleto. È stata interessata anche la falegnameria interna del Carcere con il suo capo arte, lo spoletino Aleandro Pennetti Pennella. La Direzione e la Polizia Penitenziaria, durante la realizzazione del manufatto, hanno fornito tutto l’aiuto necessario.

    L’omelia dell’Arcivescovo. «Mi sembra che il Signore questa sera rivolge a tutti noi la stessa domanda: che cosa cerchi? E ciascuno di noi potrebbe fare una lista di quello che desidera, che spera, di quello che gli manca. Perché tutti siamo in attesa di qualche cosa che venga a riscaldare il cuore. Bisogna rispondere a questa domanda. E per farlo i primi discepoli dicono a Gesù: “Ma dove abiti?”. La casa è il luogo dove ci si conosce, dove si impara a volersi bene e a perdonarsi. Provare a trovare una risposta a questa domanda vuol dire, allora, andare in casa. E voi avete preparato questa porta bellissima, che ho ammirato. Andare a casa vuol dire attraversare una porta.  Il Giubileo porta con sé l’immagine della porta. Perché quando si attraversa una porta c’è un prima e c’è un dopo, c’è quello che si trova prima e quello che sta dentro. Il primo messaggio per noi mi sembra essere quello di attraversare questa porta dando un nome a quanto sta fuori e a quanto si può trovare dentro. Tutta la nostra vita, in fondo, porta con sé dei passaggi di qualche porta. Si tratta di capire quali sono le porte che vanno chiuse e quali quelle invece che bisogna spalancare. Non è forse vero che abbiamo delle porte da chiudere? C’è qualche ricordo che ci brucia dentro, c’è qualche ferita che non si è rimarginata, ci sono delle parole che sono state dette e altre che non sono state dette. Tutto questo ci pesa addosso come un macigno e, per quanto ci sforziamo, facciamo fatica a dimenticare, a girare pagina. Attraversare quella porta allora vuol dire chiuderne delle altre che ci conducono non verso la luce ma verso la tenebra; che anziché aiutarci a crescere nella verità, nella giustizia e nella sensibilità ci portano piuttosto a cedere alla sollecitudine dell’orgoglio che poi diventa violenza, prevaricazione e ingiustizia. Bisogna chiudere alcune porte che non ci appartengono, che hanno segnato la nostra vita ma che non hanno prodotto nulla di quello che avremmo desiderato. Bisogna, poi, aprire qualche altra porta: cioè prendere coscienza della propria esistenza, della propria storia, guardare la realtà in faccia senza nascondersi, provare a chiamare le cose con il loro nome per far sì che la verità si faccia strada dentro di noi e ci rimetta in piedi e ci aiuti a guardare avanti con fiducia rinnovata. Noi stiamo celebrando il Giubileo della speranza. Ma cosa è la speranza? Non è un vago sentimento che ci aiuta ad andare avanti aspettando che quella determinata situazione, che può essere pesante, si risolva in un qualche modo. La speranza è qualcosa che uno porta dentro: nel cuore di ciascuno c’è una scintilla di luce, dice l’apostolo Giovanni. Anche in quello più abbruttito. Si tratta di far venire fuori questa luce, di rendersi discepoli. Tutti noi portiamo dentro la nostalgia di una vita bella e buona. E poi, certo, ci sono le storie personali, che però non possono cancellare quel desiderio di bellezza che portiamo inciso nel cuore. Ed è proprio quel desiderio che dobbiamo far venire a galla. Questa è la vera speranza che Gesù è venuto a donarci nel mistero del suo Natale, quando è venuto a condividere la nostra natura umana. Da quel momento nessuno di noi è estraneo al suo pensiero e al suo cuore. Qualunque sia la nostra storia. E questo è il fondamento della speranza: io ho un posto nella mente e nel cuore di Dio. E questo posto nessuno me lo può togliere, qualsiasi storia io abbia vissuto o realizzato. E il Giubileo ci viene donato proprio per riprendere nuova coscienza di questa verità e per guardare avanti. So bene, cari amici, che la prima speranza di ognuno di voi è vedere spalancarsi le grate del carcere. Questo non dipende da noi, né da voi; tutti sappiamo che la giustizia deve fare il suo corso, perché ognuno è è responsabile dei gesti che compie. Ma le sbarre non possono impedire a quella speranza interiore di crescere e svilupparsi. Ed è per questo che siamo qui come i mendicanti che vanno a cercare e tendono la mano e domandano. Siamo qui per risvegliare quella sete di vita bella che portiamo dentro. Gesù ha detto a coloro che gli domandavano che cosa cercate: “Venite e farete l’esperienza”. Noi abbiamo passato quella porta e siamo venuti qui in questa chiesa che ci dice la compagnia: il Signore passa attraverso i muri e le sbarre e viene a condividere l’esistenza di ciascuno di voi. Nel Vangelo Gesù si è sempre proposto e mai imposto; ha sempre detto, se vuoi. Attraversare quella porta, che è un gesto esteriore, può voler dire il desiderio serio e forte di guardare avanti: il bene è ancora possibile ed è più forte del male. Se lo vogliamo il bene può crescere, svilupparsi ed essere vincitore. Lasciamo risuonare nel profondo del nostro cuore la domanda: che cosa cerchi? Il Signore, attraverso la sua Parola e il segno del Pane eucaristico, ci dona la capacità di trovare la riposta. Troviamola insieme, ci dice. Lui è qui, cari amici, per darvi una mano: perché possiate appoggiare la vostra testa sulla sua spalla, perché possiate confidare anche quello che vorreste tenere per voi. La sua presenza e la sua amicizia non vengono meno: questa è la sorgente della speranza. Tutti noi ci riconosciamo mendicanti di questa speranza. Chiediamo insieme gli per gli altri che anche questa celebrazione, che anche questo Anno Santo e questa porta che ricorderà questa operazione del passaggio diventino per tutti un momento e un’occasione di grazia per guardare avanti. Quello che è stato è stato, non ci appartiene più – ci appartengono solo le conseguenze – e non possiamo cambiarlo: possiamo, però, pensare in maniera diversa, cioè a vincere quella battaglia tra la luce e le tenebre, tra la verità e la menzogna, tra la generosità e l’egoismo».

    Il saluto dei detenuti all’Arcivescovo e la visita al 41 bis. Al termine della celebrazione un detenuto ha rivolto delle parole di ringraziamento all’Arcivescovo per questa celebrazione: «L’apertura di questa Porta Santa per noi è stato un momento significativo, i nostri cuori inquieti attendevano questo giorno. Anche noi, nella selva oscura dell’esistenza, vorremmo avere la possibilità di sognare e di sperare. Auspichiamo che il transito di questa porta possa ravvedere i nostri cuori e il nostro futuro». Prima di lasciare il Carcere, mons. Boccardo si è recato a fare visita anche ai detenuti del 41 bis ed ha detto: «Mi sono confrontato con la coscienza carica di sbagli compiuti, con una voglia di redenzione forte che, al di là di quanto giustamente viene definito dalle leggi, dice la dignità della persona e fa emergere quella scintilla di bene, di verità e di bellezza che abita il cuore di queste persone. Un momento particolarmente significativo che dà un buon inizio a questo Anno Santo».

    Share

    Related Post

    Related Blogpost

    Lascia un commento

    Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

    Commentiultimi pubblicati

    Patrizia 2025-03-12 13:44:27
    Guardi, Signor Lisci, noi fedeli, al PD vi aspettiamo, con mosse azzeccate, con un occhio alle persone, che non si.....
    Guerrino Fioretti 2025-03-11 19:30:10
    Riuscirà, codesto pseudo politico, a sprecare due parole per l ospedale? Perche prima delle elezioni regionali, e della sua elezione.....
    Aurelio Fabiani 2025-03-08 20:07:31
    Avete già fatto abbastanza danni per l' ospedale. Riposatevi.
    Gori Alessandra 2025-02-27 18:21:50
    Ma ai giardini di via visso il muretto intorno ai giochi vi sembra sicuro?
    Massimo 2025-02-06 12:20:24
    Come si fa a pubblicare un simile articolo sapendo non essere veritiero? Forse chi lo pubblica non è a conoscenza.....