Al via l’Assemblea sinodale dell’Archidiocesi di Spoleto-Norcia – il testo completo della relazione introduttiva di mons. Boccardo

  • Letto 1342
  • (DMN) Spoleto – in una gremita Cattedrale di Santa Maria Assunta , ha preso il via nel pomeriggio di domenica 16 ottobre, l’Assemblea sinodale dell’Archidiocesi di Spoleto-Norcia sul tema ‘Per una Chiesa abitata dalla gioia del Vangelo’ che caratterizzerà l’anno pastorale 2016-2017 . Alla presenza dei sacerdoti diocesani, i religiosi e le religiose, gli operatori pastorali, i membri di associazioni e movimenti e i 158 delegati dell’Assemblea, l’Arcivescovo mons. Renato Boccardo ha pronunciato dall’ambone del Duomo la sua relazione introduttiva per illustrare i punti salienti su cui dialogare e confrontarsi. Al termine della prolusione, indossato il piviale bianco, l’Arvivescovo ha presieduto la celebrazione dei Vespri durante la quale ha conferito il ministero del Lettorato ai seminaristi Pier Luigi Morlino, della parrocchia di S. Venanzo , e Bartolomeo Gladson, della parrocchia di S. Giovanni di Baiano. Lungo la navata centrale della Cattedrale sono stati posizionati gli stendardi con le immagini dei santi della Chiesa spoletana-nursina, al fianco dell’altare la Santissima Icone mentre nella cappella laterale, inaugurata durante il precedente Giubileo e che custodisce oltre al crocifisso ligneo di Alberto Sotio anche le tombe degli Arcivescovi, è stata esposta ls reliquia di San Giovanni Paolo II, recentemente donata alla Diocesi dal Cardinale Stanislaw Dziwisz, per decenni segretario di Wojtyla, salito al Soglio Pontificio proprio il 16 ottobre di 38 anni prima.

    F.G. BANNER-DUE-MONDI

    Ecco il testo completo della prolusione di mons. Renato Boccardo:

    Cari fratelli e sorelle,

    mentre vi do il più cordiale benvenuto, faccio mie – parafrasandole – le parole dell’apostolo Paolo: «Alla Chiesa di Dio che è a Spoleto-Norcia, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata: grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo! Rendo grazie continuamente al mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza» (cf 1 Cor 1, 2-5). Ci accoglie questa Basilica Cattedrale, madre di tutte le chiese della nostra Archidiocesi; da qui parte quel fiume di grazia che, attraverso la Parola e i sacramenti, santifica e consacra il nostro cammino nel tempo. Ci accoglie – esposta nella cappella del Crocifisso qui alla mia sinistra – la reliquia del sangue di San Giovanni Paolo II, che abbiamo ricevuto in dono durante il recente pellegrinaggio diocesano in Polonia e che è destinata al nuovo complesso parrocchiale in San Nicolò di Spoleto, intitolato proprio al Santo Pontefice. Tutti ringrazio per la generosità e l’impegno che manifesta il vostro convenire questo pomeriggio in risposta al mio invito. Ritengo che il nostro stare insieme, come già è avvenuto nelle ultime settimane nei Vicariati, costituisca un grande dono e una grave responsabilità: dono, perché riconosciamo che è il Signore a convocarci e a fare di noi il suo popolo, al di là delle nostre differenze e divisioni; responsabilità, perché a questo popolo il medesimo Signore affida la missione di essere nel mondo portatore del suo Vangelo con la testimonianza della vita. Forse qualcuno ricorda che, concludendo il mio dire nell’Assemblea diocesana dello scorso anno, imploravo per voi e per me un triplice dono: – innanzitutto un sussulto di vita cristiana – poi un sussulto di spirito ecclesiale – infine, un sussulto di missionarietà. Sa il Signore se e quanto questi doni, che certamente nella sua Provvidenza ci ha elargito, sono stati accolti e fatti fruttificare. Rimane il fatto che di fronte a noi si apre l’orizzonte immenso e il dovere irrinunciabile dell’annuncio, che suppone una vita cristiana seria e coerente, una appartenenza ecclesiale viva e convinta, un impegno generoso e competente nel proporre al mondo la vita buona e bella che scaturisce dalla sequela di Gesù. Quanto vi dirò questa sera vuole essere un modesto contributo alla riflessione e all’azione, perché nella nostra Chiesa diocesana la gioia del Vangelo sia da tutti conosciuta, esperimentata e amata. UNO SGUARDO ALLA REALTÀ Per l’anno 2015 l’ISTAT ha fornito l’indice della religiosità in Italia, prendendo come riferimento la frequenza alla messa domenicale da parte delle diverse classi di età: risulta che vanno in chiesa il 40% degli anziani, il 25% di quanti sono tra i 45 e i 60 anni, il 15% dei giovani tra i 18 e i 29 anni. Merita una particolare attenzione il dato complessivo riguardante questo ultimo decennio; infatti, dal 2006 al 2015 si registra un calo generalizzato: i praticanti di età tra i 18 e i 24 anni e quelli dai 55 ai 59 anni sono diminuiti del 30%; quelli dai 25 ai 29 anni del 20%; quelli dai 40 ai 50 anni del 10%; gli anziani del 12%. Ad uno sguardo anche superficiale, non è difficile individuare gruppi diversi: Uno ha fatto una scelta precisa di stare “fuori”, è indifferente, non ha identità cristiana. Un altro si fa vivo in qualche occasione particolare, come battesimo, prima comunione, cresima, matrimonio, funerali; partecipa all’Eucaristia due o tre volte l’anno e vive nell’anonimato e nell’approssimazione, non si identifica con la comunità cristiana, ha una religiosità generica, mista a vaghe superstizioni. Un altro gruppo va a messa tutte le domeniche, anche se spesso si accontenta di vivere onestamente e fare qualche apparizione in parrocchia in momenti particolari, spesso più per amicizia che per fede consapevole ed esplicita in Gesù Cristo. Un gruppo significativo, anche se non numeroso, conduce una vita cristiana seria ed impegnata; si sforza di ascoltare, custodire e mettere in pratica la Parola di Dio; testimonia il proprio essere discepolo di Gesù nella vita familiare e professionale; si dedica con generosità ad opere di evangelizzazione e di carità.

    S.E. Mons. Renato Boccardo

    S.E. Mons. Renato Boccardo

    Nelle nostre comunità abbiamo accolto i suggerimenti del Concilio e si sono moltiplicate proposte di formazione: o percorsi per i genitori dei battezzandi e per quanti vogliono celebrare il matrimonio cristiano; o grande impegno nel cammino catechistico per fanciulli e ragazzi; o iniziative a favore degli adolescenti, affinché continuino il cammino dopo la cresima; o gruppi che offrono la possibilità di approfondire la propria fede (gruppo della lectio divina, gruppi biblici, gruppi famiglia, …). Nel contempo, dobbiamo però rilevare: o mancanza di corresponsabilità negli operatori pastorali che continuano a delegare il peso dell’attività nelle mani del prete o di pochi “addetti ai lavori”; o carenza di formazione teologica e professionale dei catechisti e animatori, che fanno fatica ad elaborare un progetto coinvolgente e a lungo termine, spesso ignari dei linguaggi contemporanei con cui si esprime la fede e l’identità cristiana; o la sterilità di una catechesi ai ragazzi che non ha adulti alle spalle né una comunità viva, presente, che si possa toccare con mano; o la latitanza dei genitori nell’opera educativa, perché essi stessi non sono stati evangelizzati e non si lasciano coinvolgere in prima persona in un cammino di fede con i propri figli; o i limiti di un cammino di fede che si ferma all’età adolescenziale, senza giungere a formulare proposte valide per i giovani e per gli adulti che si avvicinano per la celebrazione di un sacramento; o il pericolo che la parrocchia rimanga un ghetto, incapace di rivolgersi a chi sta fuori e si accosta occasionalmente, non in grado di offrire spazi di ricerca, di dialogo, di accoglienza sincera verso chi si è smarrito in esperienze laceranti di vita; o l’assenza di un vero legame tra le persone, grazie al quale cresca sempre più lo spirito di appartenenza alla comunità e di conseguenza la vita cristiana; spesso i rapporti sono solo formali, oppure basati su principi di gelosia e competizione; o la mancanza di organizzazione e divisione dei compiti, per cui tutti fanno un po’ e nessuno tutto, ripetendo luoghi comuni che possono diventare pericolosi alibi per il disimpegno: «Si è sempre fatto così», «Poi ci pensa lo Spirito Santo», «Noi seminiamo, altri raccoglieranno», «Siamo ormai abituati così»… Dobbiamo riconoscere che tante realtà non sono caratterizzate dal dinamismo, dal percorso condiviso verso una meta, perché sono piuttosto modellate sulla staticità della routine. Mancano gli obiettivi da raggiungere (a meno che non vengano considerati tali la sopravvivenza di alcune pratiche abitudinarie); manca, più in generale, una progettualità che guardi al futuro e sospinga verso di esso il presente, facendo tesoro del passato. Prevale una certa stanchezza e la tentazione di riesumare vecchie usanze, di rassegnarsi invece di mettere in discussione certe prassi consolidate e certe chiusure. Spesso ci esercitiamo nell’arte del programmare, come se bastasse un programma intelligente per cambiare le cose; spendiamo tante energie, che non producono però gli effetti sperati e proporzionati, perché sono incanalate sui percorsi scontati di una pastorale che non riesce a convertirsi, o – per dirla in altri termini – sono orientate alla conservazione piuttosto che alla missione. Ad eccezione di casi sporadici, non riusciamo ad imprimere alle nostre comunità un respiro missionario ed evangelizzatore, secondo le indicazioni precise di Papa Francesco. Come spiegare tutto ciò? Può essere chiamato in causa il processo di secolarizzazione? Può dipendere da una religiosità fai-da-te, in rapporto al venir meno della tradizione? Può addebitarsi a una pastorale ripetitiva e inefficace? Dobbiamo prendere atto che siamo ormai anche noi una “terra di missione”, se teniamo conto del fatto che circa l’80% delle persone vivono ai margini della comunità cristiana, mentre la maggioranza delle nostre risorse ed energie vengono spese per l’esercizio di una pastorale che raggiunge appena il 20% della popolazione. È chiaro che dicendo questo – che può apparire una litania di lamentazioni o una visione pessimistica della situazione – non intendo dimenticare tutto il bene che si compie quotidianamente né sottovalutare l’impegno generoso di tanti nella proclamazione e nella testimonianza del Vangelo. Desidero anzi qui dire la mia ammirazione e riconoscenza a tutti coloro che si dedicano con fedeltà, passione e sacrificio, alla “opera di Dio”: penso ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e ai laici impegnati, nella catechesi, nel ministero straordinario dell’Eucaristia, nella Caritas, nel volontariato, e in mille altre forme. «Tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo» (1 Ts 1, 3) e «sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore» (1 Cor 15, 58), tutti cordialmente ringrazio perché portate con me «il peso della giornata e il caldo» (Mt 20, 12). Non possiamo però non guardarci in faccia e prendere atto, anche se con sofferenza, della realtà. Nasce dunque spontanea una domanda: in questa situazione, che cosa dobbiamo fare? (cf Lc 3, 10; At 2, 37). CHE COSA DOBBIAMO FARE? È urgente un salto di qualità, che imprima alla nostra azione pastorale una forte dimensione missionaria. Dobbiamo esaminare correttamente l’impostazione in corso, per giungere ad un vero progetto ecclesiale di evangelizzazione, di conversione a Cristo e di prossimità ad ogni uomo. Perché oggi non si può più dare per scontato che chi si avvicina per chiedere un sacramento abbia la fede, e perciò l’evangelizzazione ritorna come la missione permanente della Chiesa: è la sua grazia e, prima di esserne l’attività specifica, ne costituisce la più intima identità1. Ascoltiamo Papa Francesco, nella Esortazione Apostolica Evangelii gaudium: «La pastorale missionaria esige di abbandonare il comodo criterio del “si è sempre fatto così”. Invita tutti ad essere audaci e creativi nel compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori della proprie comunità» (33). «Una pastorale in chiave missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere» (35); «il rinnovamento delle forme di espressione si rende necessario per trasmettere all’uomo di oggi il messaggio evangelico nel suo immutabile significato» (41); «la Chiesa può giungere a riconoscere consuetudini proprie non legate al nucleo del vangelo, alcune molto radicate nel corso della storia, che oggi ormai non sono più interpretate allo stesso modo. Non abbiamo paura di rivederle» (43); «bisogna avere il coraggio di trovare nuovi segni, nuovi stimoli, una nuova carne per la trasmissione della Parola» (167). Sarebbe un tradimento a Cristo rendere vana la nostra azione a causa della ripetitività, dell’improvvisazione, della superficialità, del pressapochismo; è in questione la nostra fedeltà al progetto di Dio che si esprime attraverso la storia umana, con linguaggi umani e per mezzo di relazioni umane. Se oggi molti non trovano più significato nella fede e nella comunità cristiana non è perché la potenza di Dio si è esaurita, ma perché noi non la rendiamo abbastanza presente e provocante; il nostro linguaggio è spesso lontano dal quotidiano, le nostre strutture immobili e rigide: e così siamo isolati, mentre il Papa ci chiede con insistenza di uscire per “sentire l’odore delle pecore”2. Si diventa cristiani o si riscopre la fede non solo attraverso la trasmissione di una dottrina, ma sperimentando l’amore di Dio e dei fratelli, ascoltando la Parola, compiendo gesti di fraternità. Si tratta allora di generare nel mondo di oggi la vita vera portata dal Signore Gesù, dando risposta alle molteplici domande di compagnia, di consolazione, di perdono, di solidarietà, di desiderio di vita spirituale, manifestati in mille modi diversi dagli uomini e dalle donne del nostro tempo. Frequentemente invece la pastorale sembra portare avanti proposte ormai fuori tempo, a prescindere dal dove si trovano gli interlocutori, e per di più con atteggiamenti e modi tipici di una pastorale “agitata”, come se tutto dipendesse dal proprio agire, dalla propria efficienza, come se la Chiesa fosse – secondo una espressione di Papa Francesco – una ONG umanitaria. La crisi di modelli di comportamento familiare, sociale, economico e politico, l’affievolirsi della fede, hanno grande bisogno di proposte nuove, alte e fortemente rigeneranti. Perché il vero problema della Chiesa non consiste nel calo dei fedeli e delle vocazioni, ma nel calo della fede. Causa della crisi è lo spegnersi progressivo della coscienza cristiana, la tiepidezza nella preghiera e nella pratica, il trascurare la missione evangelizzatrice. L’autentica riforma, dunque, è questione di risveglio interiore, di cuore ardente. E la priorità assoluta è annunciare Gesù Cristo. È venuto il momento di “ri-centrare” la spiritualità, spesso dispersa in credenze marginali e devozionali, prive di autentico spessore cristiano; è necessaria una purificazione della religiosità dalle scorie troppo folcloristiche, sentimentali, abitudinarie, talora anche idolatriche. Siamo cristiani perché discepoli di Gesù ben prima di esserlo per tradizione, cultura, appartenenza ad una terra e a una storia. La domanda di fondo risuona allora in questi termini: «Io sono cristiano perché ispirato dal Vangelo e impegnato a tentare di seguirlo, oppure sono amante del mio campanile?». Perché è il Vangelo – e solo il Vangelo – che giudica ogni appartenenza religiosa e ogni forma in cui si vive la fede cristiana. L’istituzione delle Pievanie ha esattamente lo scopo di dare vita ad «uno strumento a servizio dell’evangelizzazione; sua finalità principale è … costruire opportunità, luoghi, momenti e spazi di incontro tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e Dio … Nasce così un tessuto di attività pensate, programmate e realizzate “insieme” da parte dei preti e dei fedeli laici secondo moduli diversi di collaborazione … Perché a tutti i livelli ormai o si fa sistema o si è destinati all’insignificanza. La Pievania dunque avrà una funzione di promozione, di coordinamento e di verifica delle proposte unitarie di evangelizzazione offerte alle parrocchie che vivono al suo interno»3. Perché non c’è missione efficace se non dentro uno stile di comunione; una pastorale chiusa entro i confini della parrocchia rischia di morire di isolamento e di asfissia4. Non si tratta di buone intenzioni o di incremento di impegno e neppure primariamente è questione di strutture o di attività; si tratta di cambiamento di mentalità e di prospettiva: siamo chiamati ad operare una conversione personale e comunitaria, in ordine a pensare la Chiesa e, quindi, la pastorale. CONVERSIONE PASTORALE Si tratta di comprendere che il cambiamento in atto mette in discussione proprio l’impostazione pastorale che abbiamo ereditato. Senza una vera conversione (metanoia) pastorale anche le più geniali riforme rischiano inesorabilmente la fine della pezza nuova sul vestito vecchio (cf Lc 5, 36-37): dobbiamo trasformare il cattolicesimo popolare in un cattolicesimo di ascolto della parola di Dio, di partecipazione liturgica e di capacità testimoniale. Le forme e strutture attuali mostrano una inequivocabile impronta di cristianità: rispondono, però, a un mondo che non c’è più. E questa è una considerazione nodale e decisiva. Se essa non passa, la pastorale continuerà inevitabilmente a seguire la via facile e inutile dei piccoli aggiustamenti dentro la stessa prospettiva di fondo. Ma è proprio questa – la prospettiva di fondo – ad essere radicalmente cambiata, nonostante alcuni segnali mimetici (come per esempio la richiesta di sacramenti…) ne rendano a volte difficile lo smascheramento. A ben guardare, proprio la novità della situazione motiva tutto il progetto di nuova evangelizzazione. Diventa dunque necessario e urgente riequilibrare l’azione pastorale in senso missionario: da autoreferenziale, tutta concentrata all’ombra del campanile, essa è chiamata ad assumere uno stile di missione, non come fatto eccezionale o di emergenza, ma come normalità quotidiana e dimensione costante. Si tratta di passare dal paradigma della appartenenza (intesa come cura delle anime che appartengono alla parrocchia) a quello della evangelizzazione e della missione, cioè da una “Chiesa di servizi” a una “Chiesa a servizio”: perché per la Chiesa non ci sono i vicini e i lontani, ma persone da raggiungere là dove esse vivono5. Dice Papa Francesco: «Nella comunità cristiana c’è sempre qualcuno che manca e se ne è andato lasciando il posto vuoto. A volte questo è scoraggiante e ci porta a credere che sia una perdita inevitabile, una malattia senza rimedio. È allora che corriamo il pericolo di rinchiuderci dentro un ovile, dove non ci sarà l’odore delle pecore ma puzza di chiuso! … Questo succede quando manca lo slancio missionario che ci porta ad incontrare gli altri. Nella visione di Gesù non ci sono pecore definitivamente perdute, ma solo pecore che vanno ritrovate. Questo dobbiamo capirlo bene: per Dio nessuno è definitivamente perduto. Mai! Fino all’ultimo momento, Dio ci cerca. La prospettiva pertanto è tutta dinamica, aperta, stimolante e creativa. … Nessuna distanza può tenere lontano il pastore; e nessun gregge può rinunciare a un fratello. Trovare chi si è perduto è la gioia del pastore e la gioia di Dio, ma è anche la gioia di tutto il gregge!»6. Come faremo tutto questo? Non abbiamo una formula predefinita né alcuna garanzia di successo. Abbiamo solo il mandato – urgente ed ineludibile – del Signore Gesù: «Andate ed annunciate il vangelo ad ogni creatura» (cf Mc 16, 15). Vorremmo allora metterci insieme, ascoltarci reciprocamente, leggere la realtà concreta (non immaginarla o presupporla o ignorarla) e interpretarla alla luce della missione evangelizzatrice, volgendo uno sguardo d’amore alla nostra Chiesa e domandandoci che cosa ci richiede oggi lo Spirito del Signore (cf Ap 3, 13). Lo faremo nei prossimi mesi celebrando una Assemblea sinodale. Perché «una Chiesa che non sogna non è Chiesa, è solo apparato. Non può recare lieti annunci chi non viene dal futuro. Solo chi sogna può evangelizzare», diceva don Tonino Bello7. Il regno di Dio è l’utopia che abbiamo nel cuore e non ci permette di adagiarci sui risultati conseguiti o sulle tradizioni del passato, né di scoraggiarci per le sconfitte subite. Apre, invece, il cuore e la mente alla speranza verso Colui che ha detto: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21, 5). Il nostro convenire ci offrirà la possibilità di definirci, di confrontarci, di entrare in sintonia e di prendere una decisione come Chiesa, che è operazione ben diversa da una decisione presa per la Chiesa8… UN’ASSEMBLEA SINODALE «Una Chiesa sinodale – insegna Papa Francesco – è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare è più che sentire. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo Spirito della verità, per conoscere ciò che Egli dice alle Chiese»9. Naturalmente non si dà sinodalità o strutture sinodali senza uomini e donne sinodali, in grado di uscire da forme di egoismo concentrato solo sulle proprie opinioni, o troppo timidi per affermarle. Uomini e donne sinodali si diventa maturando la propria coscienza ecclesiale, verificando posizioni che di ecclesiale hanno ben poco, e imparando a pensare in termini ecclesiali, cioè uscendo dalle logiche di parte. E per essere autentica, la sinodalità deve comprendere disponibilità allo Spirito, ascolto fedele della Parola, interpretazione dei segni dei tempi, valorizzazione dei carismi, spinta missionaria, docilità dei e ai pastori10. Ma perché intraprendere la strada faticosa di una Assemblea sinodale? «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte senza prendere neppure un pesce; però, sulla tua parola, getterò le reti», disse a Gesù un Pietro stanco e deluso (cf Lc 5, 5). Il motivo ultimo per convocare una tale Assemblea è la parola di Dio, che ci è affidata come Chiesa. Quando la Chiesa si scoraggia per le sue reti vuote o strappate, Cristo la chiama a sé per incoraggiarla e per inviarla nel mondo ad annunciare la sua Parola. Realizzando questa missione, essa vuole condividere «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi»11. Ecco perché celebrare una Assemblea sinodale: l’annuncio della Parola ci chiede di confrontarci con le domande della vita, con i mutevoli contesti storici e sociali; ci chiede di riflettere sul contributo della Chiesa alla società in cui vive, sui nostri modi di celebrare, di annunciare e di servire Cristo nel prossimo; ci chiede di riflettere sulla nostra prassi pastorale alla luce della parola di Dio e della vita quotidiana delle persone. L’Assemblea che oggi ufficialmente apriamo e che avrà come titolo «Per una Chiesa abitata dalla gioia del Vangelo» – e qui saluto con gratitudine i Delegati scelti dalle Pievanie, i Membri di diritto e quelli che hanno accolto il mio invito – si configura innanzitutto come occasione propizia per rivolgere alla nostra diocesi e al nostro territorio uno sguardo amoroso, non ansioso, rassegnato o ingenuo, ma coraggioso e audace12. Essa però non sarà semplicemente un momento nel quale fare il punto della situazione, bensì la vedo e la desidero come un’occasione per un evento dello Spirito, cioè di autentico rinnovamento spirituale ed ecclesiale. E lo sarà in tre momenti diversi e complementari: * nella preghiera: l’Assemblea deve essere preparata e vissuta come un momento di preghiera comunitaria, con due caratteristiche: la lode a Dio per i doni che ha elargito alla nostra Chiesa (non è bene lamentarsi sempre di ciò che manca; dobbiamo ringraziare il Signore per averci chiamato alla fede e perché ci conserva nella fede), e l’intercessione per quanto è affidato alle nostre responsabilità (e dunque anche richiesta di perdono e di grazia) * nel discernimento spirituale e pastorale: l’Assemblea è un luogo per riflettere, ricercando la volontà di Dio su di noi come Chiesa. La domanda sarà: che cosa vuoi da noi, Signore? In che cosa vuoi che perseveriamo? In che cosa vuoi che ci correggiamo? * nella comunione: l’Assemblea si celebra in “stile sinodale”, cioè pregando insieme, pensando insieme, progettando insieme, lavorando insieme. Un apposito Instrumentum laboris guiderà i nostri lavori, durante i quali ci interrogheremo su come la nostra Chiesa proclama la gioia del Vangelo, con l’intento di delineare forme e mezzi “nuovi e incisivi” per l’opera di evangelizzazione. E allo Spirito Santo chiederemo «innanzitutto il dono dell’ascolto: ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del popolo; ascolto del popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama»13. INDICAZIONI Mentre ripeto e confermo le indicazioni pastorali fornire negli anni passati circa la dignità e il numero delle celebrazioni eucaristiche domenicali, i percorsi e la metodologia della catechesi, la formazione degli operatori pastorali, l’organizzazione e l’attività della Caritas, raccolgo volentieri e faccio mie, tra l’altro, le priorità emerse dalle Assemblee Vicariali celebrate recentemente ed esaminate nella sessione del Collegio dei Pievani di giovedì scorso. 1. Si rileva con insistenza la necessità di “stare insieme” per “lavorare insieme”, non solo per una migliore efficacia nell’azione pastorale, ma perché questo modo di essere e di agire manifesta l’essenza stessa della Chiesa, chiamata con rinnovata urgenza ad essere luce e speranza per il mondo. Questo significa che ogni parrocchia deve sentirsi direttamente interpellata: essa riesce a vivere la propria missione solo se collabora vitalmente con le altre parrocchie e con la diocesi; i confini non possono diventare limiti invalicabili per l’azione pastorale; insistere troppo sull’identità parrocchiale e sottovalutare o anche dimenticare la dimensione della Pievania e della diocesi ferisce e indebolisce la comunione. 2. Chiedo dunque che continui con determinazione e senza tentennamenti il cammino intrapreso per la costituzione delle Pievanie, dove i cristiani sono chiamati a riconoscersi, apprezzarsi, amarsi e a lavorare insieme per il bene di tutti, acquisendo sempre di più una mentalità di “territorio”, che amplia i confini geografici e umani della propria parrocchia. Penso in particolare ai catechisti, alla pastorale giovanile e famigliare, alla Caritas interparrocchiale, ai gruppi di animazione liturgica, … Si tratta di crescere in un atteggiamento di accoglienza reciproca in forza della fede che ci accomuna nella fraternità di una sola famiglia, nelle convinzioni condivise e nell’operosità pastorale. 3. Raccomando in modo speciale ai sacerdoti l’esercizio concreto e visibile della fraternità presbiterale, alimentata e sostenuta dagli incontri periodici a livello pievaniale: essi devono necessariamente contemplare un momento di preghiera comune e di condivisione nella fede, e quindi uno sguardo pastorale sulla situazione e sulle necessità della Pievania stessa. Ogni prete, infatti, appartiene ad un corpo, il presbiterio, che – insieme con il Vescovo – è deputato al ministero pastorale nei confronti di tutta la Chiesa diocesana. Egli è prete solo se è e agisce in comunione con il Vescovo e gli altri preti. 4. Per educarci tutti ad uno spirito di unità nella missione, sarà di grande aiuto la frequentazione orante della Parola di Dio con il metodo della lectio divina. Già in diverse parrocchie questo esercizio si sta diffondendo e consolidando. Chiedo che venga continuato con precisione e fedeltà, industriandosi a trovare la metodologia migliore per coinvolgere innanzitutto gli operatori pastorali, che proprio nella conoscenza spirituale della parola del Signore devono trovare la loro formazione permanente. La lectio divina – lo sappiamo – non consiste nel fervorino da parte del parroco né nell’esposizione più o meno dotta di teorie o considerazioni personali; essa richiede piuttosto di mettersi di fronte al testo biblico con una spiegazione semplice che ne colga le valenze fondamentali ed il messaggio permanente, valga ad interpellare chi legge e medita e lo spinga a pregare a partire dalla pagina che ha di fronte. La Bibbia va vista infatti non solo come un libro che dice qualcosa a qualcuno, ma anche come Qualcuno che parla a chi legge e suscita in lui un dialogo di fede e di speranza, di pentimento, di intercessione, di offerta di sé. 5. La celebrazione dell’Assemblea Sinodale costituisce il momento favorevole per rendere operativi ed efficaci quegli organismi di partecipazione che rappresentano e interpretano efficacemente la collaborazione e la corresponsabilità nella vita della Chiesa. Mi riferisco alle Équipes parrocchiali, al Consiglio parrocchiale degli affari economici e al Consiglio pastorale di Pievania. Dunque: – ogni parrocchia abbia una Équipe che, composta dai rappresentanti dei diversi settori, accompagni il parroco nel servizio pastorale alla comunità e divenga punto di riferimento per le attività locali; – anche il Consiglio per gli affari economici deve essere presente in ogni parrocchia: alcune persone competenti e disponibili che coadiuvano il parroco nella gestione amministrativa, liberandolo da quelle incombenze tecniche e burocratiche che gli sottraggono abitualmente tempo prezioso per il suo specifico ministero pastorale; – venga costituito in ogni Pievania un Consiglio pastorale. È un passo decisivo per indicare che il cammino verso l’unità è irreversibile. Questo Consiglio non deve essere un luogo in cui si esercita una sorta di democrazia pseudoparlamentare, bensì “il tempio” della comunione, dove ci si esercita continuamente nell’ascolto reciproco, nella condivisione, nella elaborazione e nella verifica di progetti pastorali. Chiedo che entro questo anno pastorale ogni parrocchia ed ogni Pievania che ancora non lo abbia fatto si doti di questi strumenti, non in forma fittizia o puramente formale, ma affidando loro concrete competenze e responsabilità, nella ferma convinzione che il contributo di ciascuno costituisce un arricchimento per tutti. È mio intendimento convocare ed incontrare i Consigli pastorali di Pievania a partire dal prossimo gennaio. 6. Sappiamo bene che non si può vivere di rendita, dando per scontata la conoscenza della fede e della vita cristiana. È necessario continuare a formarsi, per rendere sempre più feconda la nostra appartenenza ecclesiale. La diocesi offre diverse occasioni: invito ad approfittarne con sapienza e generosità, valorizzando specialmente gli incontri proposti dalla pastorale famigliare e giovanile, dall’Ufficio catechistico, dall’Ufficio liturgico e dalla Caritas diocesana. In particolare, in questo anno dedicato alla sinodalità, segnalo il ciclo di incontri (iniziato il 15 ottobre 2016) sul mistero della Chiesa denominato “Il mistero affascinante della luna”. Si tiene ogni quindici giorni, a cura del Vicario episcopale per la formazione, presso la Casa di preghiera delle Suore della Sacra Famiglia a Collerisana di Spoleto. 7. Voi direte che è una fissa dell’Arcivescovo, ma l’invocazione fiduciosa per ottenere il dono di vocazioni sacerdotali per la nostra Chiesa è un cruccio costante che dovrebbe tormentare ogni prete e ogni cristiano. Ricordo pertanto la preghiera del primo sabato del me se al Santuario della Madonna della Stella, e rinnovo a tutti – sacerdoti e laici – l’invito ad una partecipazione corale e convinta. Sappiamo il bisogno che abbiamo di sacerdoti: con il prossimo Avvento, vorrei lanciare in tutta la diocesi una campagna di preghiera con questa particolare intenzione, dando vita al “Rosario vivente” o “Monastero invisibile”. Dettagli e modalità dell’iniziativa saranno presentati ai parroci nel corso del Ritiro spirituale di giovedì prossimo. Abbiamo attualmente sei seminaristi maggiori: due di loro, Bartolomeo e Pierluigi, riceveranno fra poco il ministero del Lettorato. Li accompagniamo con la simpatia e la preghiera e chiediamo che il Signore costituisca davvero la loro parte di eredità (cf Dt 10, 9). Queste indicazioni non sono pie esortazioni facoltative, ma normative che dovrebbero essere accolte in coscienza e seguite con spirito di comunione, per far sì che parrocchie diverse non abbiano anche diverse pastorali e scelte che lasciano il popolo di Dio perplesso e sorpreso, trasformandole in chiesuole indipendenti o meglio dipendenti non dal vescovo ma dal singolo presbitero o da gruppi che camminano da soli. Ho fiducia che l’Assemblea Sinodale, celebrata nella preghiera, nel confronto e nella condivisione, ci aiuterà a definire alcune fondamentali linee di azione pastorale nel nostro territorio. I lavori assembleari potranno essere seguiti attraverso il sito web dell’Archidiocesi, dove una particolare pagina offrirà a chi lo desidera la possibilità di far pervenire alla Segreteria opinioni, suggerimenti, commenti. Affido alla preghiera vostra e della diocesi tutta questo evento ecclesiale, certo che sarà – con l’assistenza e la forza dello Spirito e l’intercessione dei santi Ponziano e Benedetto – un autentico momento di grazia dal quale scaturiranno nuove energie e nuove modalità per l’annuncio del Vangelo e la testimonianza cristiana. A conclusione di questo nostro incontro celebreremo fra poco la preghiera del Vespro, circondati dalle immagini dei nostri Santi, figli di questa terra nei quali i semi del Vangelo hanno trovato terreno disponibile e generoso. Alla preghiera della Madre del Signore, che veneriamo nella SS.ma Icone, e alla intercessione di questi nostri fratelli maggiori ci rivolgiamo fiduciosi, affinché sostengano la nostra Chiesa diocesana nel testimoniare «l’operosità della fede, la fatica della carità e la fermezza della speranza nel Signore nostro Gesù Cristo» (cf 1 Ts 1, 3).

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    Aurelio Fabiani 2024-04-05 21:43:38
    Delle vostre sceneggiate non ce ne frega niente. Ce lo ridate l' ospedale o no!
    Aurelio Fabiani 2024-03-30 00:34:34
    I cerotti non nascondono le amputazioni, neanche i campagna elettorale. La città di Spoleto vuole il ripristino di tutti reparti.....
    Aurelio Fabiani 2024-03-19 21:39:22
    TESEI E IL GOVERNO REGIONALE DI LEGA, FORZA ITALIA, FRATELLI D'ITALIA STANNO PER CONCLUDERE L' OPERA DI CANCELLAZIONE DEL SAN.....
    Aurelio Fabiani 2024-03-11 09:58:47
    Avete già firmato il 22 ottobre 2020, con la chiusura dell' Ospedale San Matteo. Ci basta quella per conoscere gli.....
    Trevi, al via domani in Umbria una due giorni di convegno sul tema "La cooperazione internazionale come strumento di sviluppo". Notizie da entrambi i mondi - GORRS 2024-02-29 23:47:10
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